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Sabato, 21 Dicembre 2024

C'è olio e olio. Quale aggiungere nel piatto?

C'è olio e olio: quale aggiunere nel piatto?
Olio e salute: extravergine di oliva di qualità
Utilizzo in cucina dell'olio extravergine d'oliva

 
 


C'è olio e olio: quale aggiunere nel piatto?

Ovvio: quello che ci piace di più!

I nostri Concorsi Regionali, Nazionali ed Internazionali, che gli addetti del settore da tanti anni apprezzano per la competenza dei nostri Giudici oltre che per l’imparzialità e la trasparenza, ci permettono di porre in evidenza l’eccellenza della produzione olearia, con la formulazione di graduatorie per fasce di merito che premiano, con l’assegnazione de "Le Gocce d’Oro" di O.L.E.A, gli oli molto buoni (tre Gocce), quelli ottimi (4 Gocce) e gli eccellenti (meritevoli di 5 Gocce). Sentiamo in proposito il dovere di specificare che già i premiati con 3 Gocce sono buonissimi e capaci di migliorare i piatti su cui vengono aggiunti a crudo.

Ai Concorsi produciamo due Sezioni: oli presentati dai Frantoiani e quelli dei Produttori, a motivo della differenza quantitativa che rende i primi notevolmente più presenti sul mercato. Poi per ciascuna Sezione suddividiamo gli oli in monocultivar e blend, aggiungendo una graduatoria per gli oli biologici, ovviamente tutti differenziati per il tipo di Fruttato, che può essere intenso, medio o leggero, individuati secondo la metodologia dettata dalle norme COI e dai Reg.ti UE.

Già dallo scorso anno, nelle graduatorie dei Concorsi: Premio nazionale “L’Oro d’Italia” e Premio internazionale “L’Oro del Mediterraneo” 2020, pubblicate nel nostro sito, ad ogni olio abbiamo aggiunto un link che conduce alla sua Scheda di profilo sensoriale.

Per facilitare la scelta sia dei consumatori che dei professionisti della ristorazione, iniziando dal Premio “L’Oro delle Marche” 2020, da quest’anno abbiamo deciso di aggiungere, alle graduatorie come finora elaborate, un’ulteriore presentazione che vede tutti gli oli, siano blend o monocultivar, convenzionali o BIO e indipendentemente dal numero di Gocce conquistate, suddivisi a seconda del sentore prevalente, che per semplificazione descriviamo come: erbaceo, pomodoro, frutti di bosco.

La nostra lunga esperienza ci ha consentito di evidenziare che sono queste le sensazioni gusto-olfattive che maggiormente differenziano gli oli quando aggiunti nei piatti poiché, contrariamente a quanto descritto da molti, il sapore amaro e la sensazione piccante, anche se intensi nell’olio, a motivo della piccola quantità aggiunta hanno influenza pressoché nulla, o comunque minima, sul risultato organolettico complessivo.

Rimandando alla rilettura di quanto già scritto nel nostro sito www.olea.info sull’utilizzo dell’olio in cucina, veniamo qui a rammentare che:

  • Erbacei sono la stragrande maggioranza degli oli prodotti, sia monocultivar che blend: oli dalle note verdi, tra questi alcuni possono avere prevalenti profumo ed aroma di erba fresca tagliata o foglia di olivo, mandorla verde, altri di carciofo, spesso comunque mischiati tra loro, on presenza più o meno evidente di altri sentori quali erbe aromatiche, mela, pera, frutta esotica e agrumi, fiori, spezie, ecc.
     
  • Pomodoro quale sentore prevalente è caratteristico di un numero ben minore di oli, sia monocultivar che blend. In questi, praticamente sempre, il sentore prevalente di foglia di pomodoro o di pomodoro a diverso stato di maturazione è accompagnato da sentori erbacei e note verdi come quelli descritti sopra, diversamente combinati tra loro.
     
  • Frutti di bosco, spesso con sentore netto di lampone, sono presenti in una minima quantità di oli provenienti prevalentemente da Marche e Puglia, con difficoltà crescenti a reperire oli pugliesi profumati di lampone a causa del dramma provocato dalla Xylella. Anche in questi oli sono sempre presenti altri sentori erbacei, con a volte sensazioni floreali. Li presentiamo con la speranza che questo raro sentore possa sopravvivere ed anzi incrementarsi con l’impianto di nuovi oliveti costituiti dalle cultivar interessate.

L’esperienza di tante cene studio, condotte sull’utilizzo di tre oli rappresentanti delle tre famiglie nello stesso piatto suddiviso in tre porzioni, ha evidenziato che non c’è mai accordo tra i commensali, poiché sempre qualcuno preferisce aggiungere un olio erbaceo, altri con pomodoro, e sorprendentemente molti gradiscono la presenza di frutti di bosco: il gusto personale non si concilia con alcun dogmatismo di “abbinamento olio-cibo”.

Quindi, senza alcun dogma di utilizzo, esortiamo tutti a fare la stessa prova per stabilire la propria preferenza, che magari sarà diversa da quella del familiare o dell’amico invitato a cena.

Importante è arrivare a conoscere la diversità di risultato organolettico determinata soltanto dal diverso olio aggiunto a crudo, a patto che questo sia uno degli straordinari prodotti presenti nelle nostre graduatorie.

Di questi sarà sufficiente procurarsi poche bottiglie, la maggior parte scelte tra gli oli erbacei e qualcuna in meno con pomodoro, valutando se aggiungere anche un olio tra i pochissimi con frutti di bosco, sempre consapevoli che è doveroso pagare il giusto prezzo per gli oli di alta qualità.

Poi si potrà acquistare in maggiore quantità un buon extra vergine, magari non presente nelle nostre graduatorie e quasi sempre caratterizzato da profumi erbacei, da utilizzare in cucina per tutte le cotture e soprattutto per le fritture, per cui l’olio extra vergine di oliva è di gran lunga il grasso migliore.

Buon olio a tutti!

 
 


Olio e salute: extravergine di oliva di qualità

La lunghezza della nostra vita dipende dalla genetica solamente per il 20% mentre per l’80% è determinata da fattori ambientali ed alimentari. Condannati alcuni comportamenti dannosi quali il fumo di sigaretta, l’uso di droghe e l’alcolismo e ricordati gli effetti deleteri dell’inquinamento ambientale, possiamo affermare che una lunga aspettativa di vita presuppone un ambiente salubre, una buona attività fisica ed una corretta alimentazione. Questa deve comprendere ogni giorno, per ogni Kg del nostro peso (riferendoci al peso corporeo ideale e non a quello reale, che potrebbe essere anche molto superiore o inferiore), 1 g di proteine, 1 g di grassi e 4 g di zuccheri, questi ultimi da aumentare proporzionalmente alla quantità di attività fisica e costituiti da amidi almeno per il 90%, poiché limitare gli zuccheri semplici a meno del 10% aiuta a ridurre la possibilità di ammalare di diabete. Sono poi indispensabili il corretto apporto idrico, 20-40 g totali di fibre, il giusto quantitativo di vitamine ed oligoelementi.

Visto che trattiamo di olio extravergine di qualità, ritengo utile valutare, assieme a Voi, se un grasso vale l’altro oppure no, cercando conseguentemente di capire se e quanto sia opportuno prestare attenzione a questa parte fondamentale della nostra alimentazione.

Dopo la rivoluzione industriale la coltivazione dei cereali ha visto l’impiego di pesticidi a volte massiccio, associato ultimamente anche all’introduzione di Organismi Geneticamente Modificati (OGM) che possono contribuire a ridurre la biodiversità.

Questo rende possibile la presenza di tracce di pesticidi o anticrittogamici nel nostro cibo, quantitativamente regolamentati per la dose massima ammissibile da apposite leggi.

Poi c’è lo sfruttamento esasperato dei cereali con la suddivisione minuziosa e la purificazione dei loro componenti, fino ad ottenere, ad esempio, le “farine magiche” utili per certe preparazioni, ma potenzialmente capaci di aumentare l’insorgenza di allergie o celiachia, rientrando comunque nel limite dell’accettabilità.

I legumi hanno minori esigenze di trattamenti e sono sempre la componente da privilegiare per l’assunzione di almeno il 50% del fabbisogno di proteine.

Del pesce, che sempre più spesso deriva da allevamento e che a volte proviene da zone lontane, come il delta del Mekong da cui importiamo il Pangasio di cui ben pochi immaginano la provenienza, dobbiamo conoscere soprattutto la possibilità di accumulo di metalli pesanti quali il mercurio, dannosi per la nostra salute e presenti particolarmente nelle specie longeve e di grandi dimensioni come tonni, pesci spada, ecc. Ciò dovrebbe indurci a preferire il consumo di pesci di piccola taglia o dalla vita breve, come sardine e sgombri, meno soggetti all’accumulo.

Gli allevamenti di carne bovina sono stati a volte condotti insensatamente con l’utilizzo di estrogeni per favorire la velocizzazione dell’accrescimento. Gli animali da allevamento in genere, iniziando da polli e conigli, vengono inoltre trattati massicciamente con antibiotici (quasi il 70% degli antibiotici prodotti al mondo sono destinati a questo impiego), contribuendo all’incremento della selezione di germi antibiotico resistenti. Tutto questo ha cambiato la qualità dell’alimentazione umana in maniera comunque ancora abbastanza tollerabile.

La componente della nostra alimentazione che ha subito i maggiori cambiamenti, per lo più a nostra insaputa, è quella lipidica.

L‘uomo si è evoluto mangiando il grasso degli animali che cacciava o allevava e quello presente nel latte e derivati, cui aggiungeva per lo più inconsapevolmente piccole quantità di grassi vegetali assunte consumando frutti o semi di piante oleaginose, fin quando ha imparato alcune migliaia di anni fa ad estrarre l’olio dalle olive.

Da circa due secoli la necessità di alimentare una popolazione mondiale in continuo incremento ha poi favorito l’impiego sempre maggiore di piante oleaginose per la produzione di oli vegetali, che vengono in genere commercializzati a prezzi contenuti.

L’olio da olive è attualmente il più costoso e quello meno utilizzato tra i grassi vegetali: nel totale del loro consumo mondiale costituisce poco più del 3 %.

Sorge quindi spontaneo chiedersi se valga la pena spendere di più, anche oltre quattro o cinque volte il prezzo di un olio di semi, per portare a tavola un extravergine di qualità.

Oggi sentiamo enfatizzare spesso, nella pubblicità, che quel determinato prodotto alimentare è: “senza olio di palma”! Demonizzando ciò che finora abbiamo utilizzato massicciamente in una gran quantità di cibi confezionati. Nessuno però ci mette in guardia nei confronti dell’utilizzo di grassi idrogenati e TRANS, né tantomeno della presenza, in tutti i grassi vegetali ottenuti con metodi chimici, di glicidil esteri e di possibili tracce dei solventi utilizzati per l’estrazione. Per contro c’è chi ancora vuol farci credere che consumare un certo olio può “aiutarci a saltare lo steccato”.

Proviamo quindi a capire meglio che cosa sia opportuno mangiare, partendo dalla consapevolezza che ogni grasso vegetale, extravergine compreso, è composto da trigliceridi, ma che ognuno ha una sua particolare composizione in acidi grassi.

Alcuni, come l’olio di palma e quello di cocco, hanno una forte prevalenza di grassi saturi, mentre in quelli ottenuti da mais e girasole prevalgono nettamente i polinsaturi, definiti anche “essenziali” in quanto dobbiamo assumerli con la dieta, al pari degli aminoacidi essenziali, non potendoli sintetizzare con il nostro metabolismo.

Ma cosa significano le parole “saturo, monoinsaturo e polinsaturo”?

Degli acidi grassi essenziali molti sanno che sono i famosi omega 3 (n 3-ac. linolenico) ed omega 6 (n 6-ac. linoleico), ma pochi conoscono che questa definizione indica il punto in cui è posto il primo dei due o più doppi legami nella catena di atomi di carbonio che li costituisce. In particolare n 3 significa che il primo dei doppi legami è posto dopo il carbonio 3 a partire dal gruppo metilico, n 6 dopo il carbonio 6, ecc.

Il legame tra gli atomi di carbonio degli acidi grassi è quasi sempre singolo e forte: possiamo immaginare l’acido grasso come una collana di perle, per lo più in numero di 16 o 18, tenute assieme da un cordoncino molto robusto. Se tutti i legami sono singoli e forti, l’acido grasso è definito “saturo”: gli acidi grassi saturi aventi più di 14 atomi di carbonio tendono ad avere forma rettilinea e a temperatura ambiente in genere sono solidi.

Quando uno dei legami tra gli atomi di carbonio è doppio siamo in presenza di acidi grassi monoinsaturi: l’acido oleico, n 9, avente 18 atomi di carbonio, è il maggiore rappresentante di questa categoria. Nel punto in cui c’è il doppio legame la molecola di acido grasso si piega di circa 60° per la presenza di due atomi di idrogeno posti dalla stessa parte, cioè in CIS, che si respingono a causa della loro carica positiva: i grassi monoinsaturi hanno una sola curvatura ed a temperatura ambiente tendono ad essere liquidi.

Gli essenziali, o polinsaturi, posseggono due o più doppi legami, quindi due o più piegature che gli fanno assumere una conformazione “a ricciolo”.  

Tutti i doppi legami sono deboli (immaginiamo che nella collana due o più perle siano tenute assieme non da un cordoncino robusto, ma da due fili sottili) e costituiscono il sito in cui più facilmente può legarsi l’ossigeno, con conseguente ossidazione che, aumentando nella quantità, arriva a determinare l’irrancidimento del grasso. Il fattore di irrancidimento è 1 nei grassi saturi, 10 nei monoinsaturi, 100 nei polinsaturi con 2 doppi legami, 1.000 in quelli con 3 doppi legami.

Per evitare l’irrancidimento, molto facile soprattutto nei polinsaturi, alcune industrie alimentari, utilizzando elevate temperature ed il nikel quale catalizzatore, iniziarono a fissare un atomo di idrogeno nel punto dei doppi legami ove si legherebbe l’ossigeno, ottenendo l’acido grasso idrogenato. Disponibile per l’alimentazione umana da poco più di 150 anni, questo cambia la sua forma perdendo le curvature preesistenti per diventare rettilineo.

Tutti i grassi vegetali e l’olio d’oliva, per la parte proveniente dalla raffinazione del lampante, vengono estratti, o raffinati, mediante solventi e diversi procedimenti chimici, con l’utilizzo di alte temperature. Questi procedimenti sono capaci di spostare i doppi legami dei polinsaturi e far ruotare di 180° uno dei due idrogeni in CIS, generando i grassi TRANS, che diventano rettilinei come gli idrogenati.

Acidi grassi TRANS sono inevitabilmente presenti in tutti gli oli vegetali ottenuti con metodi chimici.

Il nostro organismo riesce ad assorbire facilmente ed utilizzare vantaggiosamente i polinsaturi CIS presenti da sempre in natura (ad esempio nel pesce azzurro o nell’olio extravergine di oliva) mentre assorbe lentamente ed utilizza malissimo i polinsaturi TRANS ed i grassi idrogenati. 

Noi mangiamo, spesso inconsapevolmente, acidi grassi idrogenati e acidi grassi TRANS e li facciamo mangiare ai nostri figli, ad esempio in molte merendine industriali, oppure in altri cibi a larga diffusione confezionati con il loro impiego.

Non riconoscendo come estranei i grassi idrogenati e i TRANS, che mai abbiamo incontrato nei precedenti milioni di anni della nostra evoluzione, oltre a metabolizzarli in maniera poco corretta li utilizziamo al pari dei normali polinsaturi quali costituenti strutturali delle lipoproteine e soprattutto delle nostre membrane cellulari, con il risultato di alterarne la funzione spesso in modo grave, a causa dell’inserimento di acidi grassi ridiventati rettilinei al posto di quelli che avrebbero dovuto possedere una forma “a ricciolo”. Questo può alterare gravemente i meccanismi di scambio vitali per le cellule arrivando a causarne la morte e può anche facilitare l’insorgenza di malattie tumorali.

Un recente studio dell’EFSA ha inoltre evidenziato che soprattutto nell’olio di palma, ma in misura minore anche in tutti gli oli vegetali ottenuti con metodi chimici, sono presenti glicidil esteri, 2-monocloropropandiolo e 3-monocloropropandiolo, sostanze genotossiche e cancerogene di cui ancora non è stata stabilita la soglia di accettabilità nell’adulto, che comunque dovrebbero essere assolutamente evitate nell’alimentazione dei bambini.

Queste notizie in genere non arrivano al grande pubblico, rappresentando un esempio di come certa pubblicità metta in grande evidenza benefici teorici, o molto parziali e possibili solamente in poche situazioni (come nel caso dell’olio di Lorenzo), evitando di prendere in considerazione gli svantaggi ben maggiori che possono derivare dal consumo frequente di grassi vegetali di dubbia qualità.

Qual è il cibo ideale per l’uomo? O meglio: esiste un cibo che, da solo, possiamo assumere per un anno mantenendoci in perfetta salute?

A questa domanda si ottengono in genere le risposte più disparate: il pane, le uova, la frutta, eccetera: solo molto raramente qualcuno indica correttamente il latte materno.

Nella sua composizione bromatologica che varia un po’ con il periodo di lattazione e l’aumento dell’età del neonato, questo è sicuramente l’alimento ideale, il “giusto carburante” per il nostro organismo, che lo utilizza completamente senza sprechi e quasi senza produrre “scorie”.

Il latte umano contiene anche grassi, per una quota variabile tra il 3 ed il 5 %, rappresentati da monoinsaturi per circa il 73 % (per lo più acido oleico), saturi per circa il 14 % (acido Palmitico e Stearico) e polinsaturi per circa il 13% (acido Linolenico e Linoleico).

Nel latte materno quindi il rapporto tra saturi e polinsaturi è quasi 1/1 ed il rapporto tra n3 ed n6 è circa 1/10: questi sono approssimativamente i numeri percentuali espressi dalla composizione lipidica degli oli extravergini di oliva di qualità.

Nessun altro olio vegetale si avvicina a questi numeri:  l’olio di palma, molto usato per la frittura anche delle patatine, o nella composizione di molti cibi industriali, è costituito per oltre il 50% da ac. grassi saturi, quello di cocco può arrivare ad averne addirittura oltre il 90%.

Giustamente noi temiamo molto i danni provocati dall’eccessiva assunzione di grassi saturi, sapendo che questi possono portare facilmente all’aterosclerosi, all’infarto del miocardio e ad aumentare la tendenza all’obesità. Di conseguenza siamo attenti, anche eccessivamente a volte, a togliere il grasso dal prosciutto, o dalla carne, ma mangiamo e facciamo mangiare ai nostri figli notevoli quantità di cibi industriali contenenti eccessive quantità di grassi saturi.

Il mais, il girasole e la soia producono invece oli ad elevato contenuto di polinsaturi (anche fino ad oltre il 65%). Proprio l’elevato contenuto di polinsaturi, che contribuiscono a comporre le lipoproteine benefiche per le nostre arterie, fornisce il pretesto agli spot pubblicitari televisivi centrati sul salto dello steccato, che ci inducono a credere che il consumo costante ed abbondante di oli di semi ad alto contenuto di polinsaturi possa aiutare il nostro cuore, preservandolo dalle malattie coronariche.

Un eccessivo consumo di polinsaturi potrebbe invece costituire un problema per il nostro organismo, per la scarsa capacità metabolica nei loro confronti che può portare alla formazione di perossidi: questi sono tra i peggiori nemici delle nostre cellule, responsabili dell’invecchiamento ed ancora una volta della possibile facilitazione di insorgenza di malattie tumorali.

Queste sono già motivazioni sufficienti per preferire il consumo di Olio di Oliva Extravergine di qualità a quello di qualunque altro grasso vegetale, poiché è l’unico a vantare una composizione percentuale dei suoi acidi grassi praticamente uguale a quella del latte materno, come pure dei grassi di deposito del nostro organismo, risultando quindi anche il più digeribile e salutare. 

Degli extravergini attualmente prodotti nel mondo la maggioranza è costituita da oli di basso prezzo, ottenuti da olivicoltura intensiva in impianti altamente meccanizzati oppure in Paesi che hanno un basso costo del lavoro umano. Poiché l’olio Italiano gode ancora nel mondo di notevole prestigio, questi oli vengono a volte commercializzati con marchi italiani appartenenti ormai per buona parte a Società Spagnole, Svizzere, eccetera, che li utilizzano per vendere con maggiore profitto, nella grande distribuzione, prodotti provenienti soprattutto dal bacino del Mediterraneo. Questi extravergini commerciali, che a volte vengono caratterizzati da etichette che attribuiscono loro qualità di robustezza o di delicatezza, o altre definizioni usate per catturare l’attenzione del consumatore medio, pur rientrando a pieno titolo nella classe merceologica dichiarata, difficilmente possono essere considerati di qualità.

Quali sono gli elementi che possono farci definire “di qualità” un extravergine?

Dobbiamo considerare dapprima la composizione dei lipidi, che rappresentano oltre il 98% del suo peso e costituiscono la “frazione saponificabile”.

Alta qualità è posseduta da quei prodotti che hanno un giusto contenuto in acido oleico ed i rapporti tra saturi/insaturi e tra n 3 ed n 6 simili a quello del latte materno, come già descritto.

Alla valutazione organolettica una ottimale presenza di acido oleico ed un giusto contenuto di polinsaturi conferiscono all’olio un’apprezzabile fluidità.

La “frazione saponificabile” da sola è però priva di colore, odore e sapore: queste caratteristiche fondamentali e peculiari degli extravergini di qualità sono dovute alla presenza della “frazione insaponificabile”, costituita da oltre 200 componenti che rappresentano tutti assieme meno del 2% del peso dell’olio. Tra questi spiccano lo squalene, poi cere, alcoli di- e tri-terpenici ed alifatici, sostanze coloranti quali la clorofilla che conferisce il colore verde ed i caroteni che determinano il colore giallo, quindi vitamine liposolubili (A, D, K), antiossidanti tra cui i biofenoli (che correntemente vengono chiamati polifenoli) ed i tocoferoli (vitamina E).

Questi componenti conferiscono all’olio colore, profumi e sapori, determinandone tutte le qualità organolettiche positive, comprese le importantissime caratteristiche di amaro e piccante dovute alla presenza dei polifenoli, perdute nell’olio di oliva a seguito dei metodi utilizzati per la raffinazione, come anche negli altri oli vegetali a causa della loro estrazione mediante procedimenti chimici.

Tra gli antiossidanti presenti nell’olio extravergine di oliva di recente è stata evidenziata l’importanza dell’oleocantale, derivante dall’oleuropeina aglicone, avente struttura chimica molto simile all’ibuprofene. Responsabile della sensazione piccante, questo possiede anche una spiccatissima capacità di inibizione della ciclossigenasi e quindi notevoli proprietà antiossidanti, antiinfiammatorie ed antitumorali.

 La presenza dell’amaro e del piccante, che sono ben apprezzabili quando i polifenoli totali superano le 200-250 parti per milione misurate in acido gallico, testimonia quindi l’alta qualità di un extravergine, capace di apportare notevoli benefici alla nostra salute iniziando dallo svezzamento, per proseguire poi durante tutta la nostra vita. Consumare 20 – 40 g al giorno di olio extravergine di oliva di qualità, aggiungendolo a crudo sui cibi, è sufficiente a garantire l’assunzione della  giusta quantità di acidi grassi essenziali e vitamine liposolubili, oltre ad un importantissimo apporto di antiossidanti naturali.

Evitare il consumo di grassi lontani dalla composizione di quello contenuto nel latte materno, con eccessiva percentuale di saturi o di polinsaturi, peggio se contenenti TRANS o idrogenati, assumendo quotidianamente la corretta quantità di extravergine di qualità, può contribuire a ridurre l’insorgenza delle malattie cardiovascolari e dell’infarto, può ridurre la gravità dell’osteoporosi e del diabete, del Morbo di Parkinson e dell’Alzheimer, ma soprattutto può contribuire a ridurre l’insorgenza di tumori della mammella, dell’ovaio, dello stomaco, dell’esofago, dei polmoni, del colon e della prostata di percentuali importantissime, variabili dal 30 al 70 % a seconda dei vari organi considerati, come ormai dimostrato dai pochi, ma seri, studi scientifici pubblicati.

Risparmiare sull’olio usato quotidianamente nelle nostre case sembra quindi la peggiore delle scelte, soprattutto sapendo che all’alimentazione i nostri nonni dedicavano il 60% del PIL, mentre oggi il totale della spesa per il cibo, compresi i Ristoranti, le pizzerie, il vino ed ogni altra bevanda, è soltanto il 16%, contro il 17% che dedichiamo ai telefoni ed alla televisione.

Saremmo quindi sicuramente più intelligenti se facessimo qualche telefonata in meno per dedicare 100-150 € annui così risparmiati a permetterci l’acquisto di extravergini di qualità invece di altri oli, scadenti organoletticamente e a volte potenzialmente dannosi per la nostra salute.

Gli oli extravergini di oliva di qualità, oltre ai grandi benefici per la salute, regalano anche gioia al palato, soprattutto se si impara ad usarli bene tutti i giorni seguendo i nostri suggerimenti sul loro utilizzo in cucina.  

Renzo Ceccacci

 
 


Utilizzo in cucina dell'olio extravergine d'oliva

In molti ristoranti si presta notevole attenzione all’abbinamento cibo-vino per aumentare la soddisfazione dei clienti e migliorare l’immagine del locale. Per questo sono stati codificati metodi, come quello di Mercadini, dell’Associazione Italiana Sommelier, che comunque per funzionare bene devono essere accompagnati dalla precisa conoscenza dei piatti e dei vini. Un numero crescente di ristoranti presenta poi ai clienti il carrello degli oli, ed anche per l’olio si sta parlando sempre più di abbinamento, seguendo a volte metodi che traggono ispirazione da quanto fatto per i vini.

Per facilitare un corretto utilizzo dell’extravergine sono stati quindi descritti abbinamenti per similitudine, o per contrapposizione, che considerano in genere quali elementi fondamentali l’intensità e la complessità del piatto e le caratteristiche di intensità del fruttato, del piccante e dell’amaro dell’olio. Tutto questo nasce da intenti lodevoli, ma il risultato è comunque spesso poco chiaro e di difficile applicabilità.

Può essere corretto parlare di abbinamento quando si descrive l’introduzione in bocca, in modo sequenziale, di due elementi ben separati quali sono il cibo ed il vino, aventi ciascuno temperatura, consistenza, profumi e sapori ben definiti. L’olio non viene mai bevuto dopo il cibo, ma viene utilizzato per cuocerlo o viene aggiunto a questo prima di mangiarlo entrando quindi a far parte del piatto, di cui diventa un ingrediente come il pomodoro, il basilico o il sale, contribuendo a cambiare anche in maniera determinante il risultato organolettico finale.

Poiché nessuno ha mai parlato di abbinamento del cibo al timo, allo zenzero, al rosmarino o al pepe, ma sempre e solamente del loro impiego in specifiche preparazioni per ottenere determinati risultati, può essere utile considerare in modo analogo l’utilizzo dell’olio, iniziando così a percorrere una nuova strada sicuramente capace di condurre verso importanti traguardi.

La Nazione che produce più olio al mondo è la Spagna, ma l’Italia vanta il maggior numero di cultivar di olivo: ben 538, ciascuna capace di produrre olio con peculiari profumi che, nella omogeneizzazione dei sapori sempre più presente nel mercato alimentare mondiale, sono da considerare un vero patrimonio da conoscere e difendere.

L’assaggiatore professionista valuta l’olio, usando l’apposito bicchiere di vetro blu, per descriverne con precisione tutte le caratteristiche, tendendo spesso nel giudizio finale a privilegiare l’armonia delle varie sensazioni. Così avviene anche nei concorsi. Dagli assaggiatori l’olio non viene mai giudicato nel contesto di una preparazione gastronomica. Questo sembra rendere difficile la proposta di un metodo che sia al contempo universale e semplice da utilizzare. Attualmente ben pochi hanno idee chiare in proposito, tanto che anche famosi chef, che spesso compaiono negli ormai innumerevoli programmi televisivi di cucina, con enfasi grande quanto la loro scarsa conoscenza degli oli, aggiungono al piatto “un extravergine”: si potrebbe immaginare che poi lo stesso chef, o il suo sommelier, propongano l’abbinamento ad “un vino” senza specificare quale?

Il personale di sala di quei Ristoranti che propongono con orgoglio il carrello degli oli non è quasi mai in grado di descrivere il contenuto delle varie bottiglie e soprattutto, nella maggior parte dei casi, le confezioni sono aperte da un tempo sufficiente a provocarne l’irrancidimento. Anche l’assaggiatore professionista si trova in difficoltà di fronte al carrello: non potendo conoscere con certezza tutti gli oli e non potendoli assaggiare prima di decidere quale utilizzare, deve affidarsi alla buona sorte come qualunque altro cliente. Il carrello degli oli quindi non va bene, ma è anche peggio trovare in tavola un solo olio, spesso di scarsa qualità, a volte difettato anche in modo grave. Sarebbe invece molto bello veder arrivare il Cameriere con in mano la bottiglia dell’extravergine che è stato scelto per quel determinato piatto, magari descrivendone la motivazione.

L’esperienza derivata da innumerevoli esperimenti di utilizzo di diversi oli nella stessa preparazione ha evidenziato che a volte i vincitori di concorsi, premiati per l’armonia delle componenti aromatiche del fruttato e per l’equilibrio del piccante e dell’amaro, offrono risultati meno pregevoli rispetto ad altri che, giudicati meno equilibrati perché caratterizzati da qualche sentore in netta prevalenza, hanno in realtà esaltato la gradevolezza del cibo. Soprattutto si è evidenziato con chiarezza che la cosa più importante per il risultato organolettico finale di ogni preparazione gastronomica è la qualità dei profumi ed aromi dell’olio, mentre il piccante e l’amaro, anche se intensi, hanno una scarsa rilevanza: per questo basti ricordare che quando aggiungiamo il pepe ad un piatto lo facciamo per avere il suo aroma più che il piccante, per aggiungere il quale usiamo semmai il peperoncino. Presupposto indispensabile per decidere quale possa essere l’olio capace di rendere appagante il piatto è quindi la corretta conoscenza delle sue qualità. Questa caratterizzazione è spesso difficile con i blend, mentre è più facile e costante con i monovarietali, se ottenuti nel rispetto della corretta conduzione di tutta la filiera produttiva.

Per iniziare sarà sufficiente sapere che, ad esempio, profumi ed aromi erbacei come di mandorla verde, erba falciata, foglia di olivo, carciofo, cicoria, cardo, ed altri, sono peculiari degli oli ottenuti dalle cultivar Bianchera, Coratina, Frantoio, Leccino, Moraiolo, Peranzana, ecc. Profumi ed aromi prevalenti di pomodoro o foglia di pomodoro, accompagnati o meno da sentori anche erbacei più o meno intensi, sono tipici delle cultivar Ascolana tenera, Itrana, Nocellara del Belice, Ravece, Tonda Iblea ed altre, mentre Mignola, Cellina di Nardò ed Ogliarola Salentina sono caratterizzate da profumi ed aromi di frutti di bosco, quali il lampone, più o meno accompagnati da profumi erbacei e/o di erbe aromatiche.

Questi sono solo esempi, ma tutte le cultivar possono rientrare in una suddivisione su tre soli gruppi aromatici, che per abbreviazione chiameremo erbaceo, pomodoro, o frutti di bosco.

Questa semplificazione estrema è la migliore base di partenza per permettere a chiunque di utilizzare correttamente a crudo gli extravergini sia in casa che nei Ristoranti, anche quelli più blasonati. Si suggerisce quindi di iniziare con degli oli monovarietali, meglio se del proprio territorio, dotati delle caratteristiche sufficienti a rappresentare bene le tre categorie di profumi ed aromi. Poi si potrà allargare la scelta anche a dei blend ben caratterizzati e sarà la curiosità e la passione di ciascuno a stimolare la voglia di allargare le proprie conoscenze.

Si ritiene quindi inutile e fuorviante proporre schemi di utilizzo simili a dogmi precostituiti e difficili da seguire, raccomandando invece di provare quali siano le differenze organolettiche ottenibili cambiando solamente l’olio aggiunto a crudo. Per questo si consiglia di iniziare a provare ciascuno dei tre gruppi aromatici su cibi molto semplici come una patata lessa, oppure una zuppa, o una carne, per proseguire il gioco su ogni piatto fino a definire per ciascuno l’olio “giusto” che sarà poi anche facile descrivere. Il risultato sarà sicuramente molto apprezzato in famiglia, ma potrà addirittura esaltare la soddisfazione dei Clienti dei Ristoranti, cui si può proporre: “pomodoro o lampone?” per permettere a ciascuno di assecondare al meglio il gusto personale.

Per tutte le cotture e le basi cucina va sempre bene utilizzare un buon blend con un favorevole rapporto qualità/prezzo, meglio se prevalentemente erbaceo per la notevole versatilità di questa famiglia di profumi, da usare sempre anche per le fritture poiché l’extravergine di oliva è il grasso vegetale con le migliori caratteristiche di tenuta alle alte temperature.

Per chi utilizza la frittura quale metodo di cottura, è indispensabile sapere che gli oli sono costituiti nella quasi totalità da trigliceridi, cioè da molecole di glicerina (alcol a tre atomi di carbonio) cui sono legati tre acidi grassi. La temperatura elevata determina dapprima la scissione per idrolisi (perdita di una molecola di acqua) di un acido grasso dalla glicerina, poi di un secondo e quindi del terzo, fino a scindere completamente la glicerina dagli acidi grassi. La glicerina libera perde poi ancora due molecole di acqua e si trasforma in sostanze quali l’acroleina che, essendo volatili, si manifestano con la comparsa di fumo azzurrino acre e pungente. Queste sostanze possono dare sapore poco gradevole al cibo, ma soprattutto sono altamente cancerogene.

Il “punto di fumo”, condizionato anche dal fattore tempo, è la temperatura a cui inizia a prodursi questo fenomeno ed è diverso a seconda dell’olio utilizzato: è più basso negli oli aventi alto contenuto di polinsaturi (quali olio di mais e girasole) e più alto in quelli ad alto contenuto di saturi, è più basso negli oli ad elevata acidità (sinonimo di presenza di monogliceridi o digliceridi ed acidi grassi liberi, che determinano una minore stabilità dell’olio), ma è più elevato negli oli aventi un elevato contenuto di polifenoli. Buon punto di fumo ha anche l’olio di arachidi, ma nessuno può vantare la qualità dell’extravergine di oliva. Con un punto di fumo spesso superiore ai 200° C, questo offre sicurezza pressoché totale alla temperatura di 165 – 170° C necessaria e sufficiente per fare un’eccellente frittura, poiché è l’unico ad avere la corretta composizione in acidi grassi e soprattutto una forte presenza di polifenoli, potenti antiossidanti capaci di proteggerlo fino a consumarsi totalmente, come ormai dimostrato da numerosi studi scientifici.

Da sfatare infine le infondate convinzioni di chi pensa che usare un extravergine di qualità per le fritture possa conferire cattivi sapori al cibo. Questo può essere a volte vero con l’utilizzo di olio extravergine commerciale caratterizzato da sentori di basilico, bosso o ribes nero, che qualcuno descrive anche come “pipì di gatto”. Basta provare una volta il confronto tra una frittura ottenuta con un extravergine di qualità e la stessa fritta con qualsiasi altro grasso vegetale per togliere ogni dubbio e garantire sempre, con perfetta consapevolezza e poca spesa in più, ai propri Familiari come ai propri Clienti, qualità e salute.

Buon olio a tutti!

Renzo Ceccacci

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